Quando si parla di rischio chimico legato agli alimenti, nell’immaginario comune il pensiero va a una sostanza inquinante o a qualcosa di alieno all’alimento che finisce per contaminarlo in un certo punto della filiera produttiva.
Gli inquinanti ambientali dovuti all’attività industriale dell’uomo sono proprio tra i contaminanti chimici più conosciuti dalla stragrande maggioranza delle persone.
Tuttavia il rischio chimico può derivare in alcuni casi da sostanze indesiderate che si possono formare nell’alimento, a partire dalle sue componenti, durante il processo di cottura.
È il caso dell’acrilammide, un composto chimico che si può formare in modo naturale quando prodotti alimentari che contengono amido vengono cotti ad alte temperature in condizioni di scarsa umidità (temperature superiori ai 120°C).
La formazione di acrilammide non è legata soltanto alla produzione alimentare industriale, ma può avvenire anche nella preparazione casalinga.
Il rischio…
Gli alimenti maggiormente a rischio sono:
- patatine e patate fritte a bastoncino;
- pane croccante e morbido;
- prodotti da forno come crackers, fette biscottate, biscotti e torte;
- il caffè.
La sostanza si forma a partire da zuccheri e amminoacidi (in particolare l’asparagina) che sono naturalmente presenti in questi prodotti e conferisce ai cibi il tipico aspetto dorato e abbrustolito che li rende più gustosi.
Dopo essere stata ingerita, l’acrilammide viene assorbita dal tratto gastrointestinale e successivamente distribuita a tutti gli organi e metabolizzata. Uno dei principali metaboliti che ha origine da questo processo è la glicidammide.
Sia l’acrilammide sia la glicidammide sono sostanze genotossiche (che possono implicare mutazioni a livello del DNA) e cancerogene. Possono colpire il sistema nervoso centrale e periferico oltre che l’apparato riproduttivo.
… e come ridurlo
Secondo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) gli ingredienti, le condizioni di conservazione, la tipologia di cottura e la temperatura alla quale il cibo viene cotto sono fattori che influenzano la formazione di acrilammide negli alimenti e, di conseguenza, la nostra esposizione a questo composto chimico.
Per limitare la sua assunzione è sufficiente adottare qualche piccolo accorgimento:
- evitare prodotti troppo carbonizzati quando acquistiamo del pane o dei prodotti da forno;
- prestare attenzione al grado di cottura quando ci troviamo a consumare pasti fuori casa;
- qualora si presenti la necessità asportare ed eliminare le parti annerite degli alimenti (per esempio le bruciature presenti sul bordo della pizza);
- quando cuciniamo, tenere sotto controllo la fase di cottura, in particolare il tempo e la temperatura.
Da studi condotti dall’EFSA è emerso che per friggere le patate è meglio non superare i 170-175°C. Nelle prove di laboratorio è stato rilevato che più la temperatura e il tempo di frittura aumentano, più aumentano anche le concentrazioni di acrilammide. L’aumento avviene già a temperature di poco superiori a quelle consigliate, ovvero fra i 195 e i 225°C e con tempi tra i 16 e i 24 minuti. Quindi per friggere, cuocere al forno, grigliare o tostare, la regola generale da seguire è quella di ottenere una leggera doratura gialla, e non una bruciatura di colore bruno.
Un ulteriore consiglio è quello di conservare le patate al riparo dalla luce e dal calore, e non in frigorifero. Se conservate al freddo infatti i livelli di zuccheri nel tubero aumentano e quindi potenzialmente anche la formazione di acrilammide in fase di cottura.
Riferimenti
- EFSA (2015). Scientific opinion on Acrylamid in food
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